Teatro

TULLIO PERICOLI. Sedendo e mirando - i paesaggi (1966-2009)

TULLIO PERICOLI. Sedendo e mirando - i paesaggi (1966-2009)

“Quando ci troviamo davanti ad un paesaggio che per la sua grandiosità ci colpisce e ci supera, la sensazione di piacere che proviamo deriva anche da un moto di appartenenza. Vogliamo esserne parte. Far parte di una sorta di unità con quello che vediamo, un'appartenenza alla totalità che in quell'istante sentiamo armonica” (Pericoli, 2008). Il percorso inizia con le “geologie dell'io”, temi degli anni Sessanta mutuati da Freud. Una grande massa chiara fra colori scuri: la vita nasce dal profondo, la vita nasce dalla memoria. Questo è anche il senso della mostra, perchè Pericoli traccia paesaggi marchigiani che non sono più i suoi quotidiani, vivendo a Milano: “Le colline delle Marche le ho avute davanti agli occhi fin da bambino. Aprivo la mattina gli scuri della mia camera ed esse erano lì, le guardavo senza osservarle. Dopo molti anni me le sono ritrovate nella testa, come quando visitando una mostra o un museo scopro la presenza di un artista nella mia pittura” (Pericoli, 2004). In questa fase usa una tecnica mista, gesso, collante, semi e chiodi. Sezioni di crosta terrestre che si scontrano, masse che premono contro la crosta terrestre, il consapevole e l'inconscio. La rara presenza di alberi indica l'isolamento, la solitudine. A seguire alcuni acquerelli degli anni Settanta, preludio e anticipazione alla produzione successiva. In “Orizzonte” (1976) c'è un verticalismo dell'immagine e la divisione in due del paesaggio. Interessante il confronto fra i paesaggi marchigiani e “Città verticale” (2000), meno realistico. In bacheca piccoli olii su tela dove prevalgono i grigi. Il catalogo Skira ha la riproduzione di tutte le opere, stampate su una carta particolare che ne fa risaltare i colori e la materia pittorica. La “Lunetta per Torrecchia” (2002) è l'unica opera avente ad oggetto un paesaggio non marchigiano, ma laziale, essendo stata commissionata da Carlo Caracciolo (è lui l'uomo che guarda) per la sua residenza settecentesca, nel mezzo di un enorme podere vicino Latina. Il paesaggio, dominato dalle querce da sughero, appare schiacciato e invernale; la casa è un cubo morandiano luminosissimo. Non c'è prospettiva intesa in senso rinascimentale, ma la frammentarietà dei fiamminghi e la loro minuzia nel descrivere gli oggetti, quasi con intento mappale. Qui Tullio Pericoli attua una sintesi tra il paesaggio e l'uomo che lo guarda e, al tempo stesso, non c'è il senso dell'occhio che lo sintetizza: l'uomo guarda (come nella lunetta), ma non si percepisce la presenza dell'uomo (se non nella lunetta), tranne che in quelle colline coltivate e modellate, quadrettate, solcate per seminare e raccogliere, una terra trattata da secoli geometricamente, trasformata in un reticolo di solchi dall'uomo-agente che con essa interagisce, rispettandola, amandola, curandola, rendendola fruttifera. Come le terre marchigiane. È questo il senso del rapporto con il paesaggio, il quale solo così diventa “saggio”, come nel titolo del festival della provincia di Ascoli Piceno. “La pittura, soprattutto nel paesaggio, tende a cancellare i confini fra uomo e natura” (Pericoli, 2004). “Fine stagione” (2007), “Terra rossa” (2004), “Stagione fredda” (2002): sono solo alcuni titoli in un percorso splendido. Le forme emergono dalla terra e nella terra si reimmergono. Il tempo cambia con le nuvole che si rincorrono. E i colori appaiono pieni di significati. Le chiazze viola degli alberi di Giuda, il nero oltraggioso degli incendi che violano la terra. Le montagne dell'Appennino che si ergono improvvise e verticali a chiudere il paesaggio delle colline colorate. Il ricordo di Giacomelli in bianco e nero. In particolare mi hanno emozionato le opere di questi ultimi due anni, paesaggi marchigiani in cui l'uomo è assente ma la cui presenza è fortissima nelle tracce lasciate in quei paesaggi, coltivati, amati. Vissuti e abitati come il naturale prolungamento dell'uomo. Emozionante la parete con le opere di piccole dimensioni, tutte insieme, un mosaico di colori e terre: l'essenza delle Marche. L'allestimento è ispirato ad un racconto di Stevenson: un adolescente malato poggia la testa sul cuscino e vede colline e avvallamenti, invero le forme del suo corpo sotto le coperte, ed immagina battaglie e storie. Alla fine del percorso le due opere che danno il titolo alla mostra. Il paesaggio che si fa Saggio, operato dall'uomo. Un paesaggio da vedere, ammirare. Sedendo e mirando. Quasi religiosamente. “Mi succede ogni tanto di domandarmi se il mio legame con questi luoghi non sia dovuto alla terra vera e propria, alla sua materia, al suo colore, a quello che ancora sa raccontarmi. A quel soffio vitale, a quel respiro sotterraneo che sembra far gonfiare le colline, alzare le montagne e crescere gli alberi” (Pericoli, 2008). Ascoli Piceno, Galleria d'Arte Contemporanea, fino al 13 settembre 2009, aperta da martedì a domenica dalle 10 alle 19 (lunedì chiuso), ingresso euro 6,00, catalogo Skira, infoline 0736.277552, sito internet www.saggipaesaggi.it